Sono passati due anni da quel giorno che ha spezzato una vita giovane e tante speranze — ed è un momento in cui vale la pena fermarsi, non solo per ricordare, ma per riflettere insieme a voi, giovani lettori, su cosa può significare un evento come questo per una generazione che vuole cambiare.
Il fatto
Il 11 novembre 2023 Giulia Cecchettin, 22 anni, studentessa di ingegneria biomedica all’Università di Padova, è stata uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta. Il corpo di Giulia è stato ritrovato pochi giorni dopo in un bosco del Veneto, in condizioni raccapriccianti. L’omicidio ha scosso l’Italia, portando all’attenzione pubblica il tema della violenza di genere, in particolare nei rapporti affettivi.
Di lei: più che una vittima
Giulia non era solo una vittima: era una giovane donna con progetti, studi, relazioni, amici. La sua storia ha acuito la sensazione che «non deve succedere più» — e che per impedirlo serva qualcosa di più della rabbia.
Lo ha detto chiaramente il padre, Gino Cecchettin: “L’educazione è l’unica risposta sistematica possibile… non possiamo delegare ai tribunali ciò che spetta alla scuola, alla famiglia, alle istituzioni culturali”.
A due anni: cosa è cambiato?
- Il processo a Filippo Turetta ha portato a una condanna all’ergastolo in primo grado.
- La famiglia Cecchettin ha dato vita alla Fondazione Giulia Cecchettin, con l’intento di trasformare il dolore in impegno concreto.
- Il padre di Giulia insiste sul “fare rete”: sostenere i centri antiviolenza, collaborare con le scuole, coinvolgere i giovani.
- Ma la sensazione è che molto resti da fare. Come lui ha detto: «Ci sono dolori che non si allevieranno mai».
Perché interessa a voi, giovani
- Perché molti di noi sono proprio nella fascia d’età di Giulia. Il tema delle relazioni affettive sane, del rispetto reciproco, della libertà e del rifiuto della violenza è vostro.
- Perché la cultura (dei social, della scuola, delle uscite serali) ha enormi poteri: può promuovere modelli tossici, oppure può essere luogo di consapevolezza. Come dice il papà di Giulia: “Quando la scuola tace, parlano i social, parlano i modelli tossici, parlano i silenzi degli adulti”.
- Perché ricordare non è soltanto un atto emotivo: può essere un momento che stimola a fare qualcosa, per sé e per gli altri.
Quali segnali osservare
In una relazione o in un’amicizia, chiedetevi:
- Mi sento libero/a? Oppure ho paura di dire “no” o “basta”?
- L’altra persona rispetta i miei tempi, i miei spazi? O pretende che io rimanga sempre disponibile?
- Ci sono commenti che svalutano me o le mie scelte, come: “Se davvero mi amassi faresti così”?
- I social (messaggi, controlli, richieste ossessive) generano ansia o mi fanno stare bene?
Essere attenti a questi segnali non significa essere paranoici: significa essere consapevoli.
Come onorare la memoria di Giulia
Può sembrare forte, ma il modo migliore di ricordare è guardare avanti:
- Supportando le associazioni che aiutano vittime di violenza;
- Partecipando a momenti di sensibilizzazione e formazione nelle scuole o nei gruppi giovanili;
- Parlando con amici, compagni, condividendo perché certe relazioni possono diventare pericolose;
- E soprattutto: scegliendo relazioni dove il rispetto e la libertà sono al centro.
Un richiamo finale
La storia di Giulia ci dice che non basta reagire dopo la tragedia — bisogna prevenire prima che accada. E sta a noi, come generazione che vuole cambiare, fare la differenza.
Non è un messaggio facile, ma è uno che vale la pena ascoltare. Qualcosa è cambiato in questi due anni — e qualcosa deve continuare a cambiare. In onore di Giulia, e in difesa di tutte le giovani vite che valgono e devono essere rispettate.
11/11/2025







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