Se da un lato i romani ostentavano virtus, clementia, iustitia e pietas nell’amministrazione della Res Publica, dall’altro è noto che in circostanze di maggiore intimità non disdegnavano affatto il divertimento. Non sorprenderà quindi sapere che, nell’antica Roma, il gioco d’azzardo era un passatempo molto diffuso.
Per capire quanta importanza avessero i giochi nella Roma antica, ci viene in aiuto il detto “panem et circenses” (tradotto letteralmente “pane e giochi circensi”). Espressione con cui il poeta e retore latino Giovenale indicava, non senza una buona dose di sarcasmo, i due elementi grazie ai quali i politici del tempo erano in grado di ingraziarsi il popolo romano. Come a dire che quest’ultimo vivesse principalmente di cibo e divertimento.
E difatti i romani non perdevano l’occasione di scommettere su qualsiasi tipo di lotta tra gladiatori e corsa di carri. Né di svagarsi con giochi come dadi, morra e testa o croce. Per farlo si incontravano nelle case private, oppure nei retrobottega delle locande. Il gioco era diffuso in tutte le classi sociali, dai plebei ai patrizi, passando per la borghesia e arrivando fino agli imperatori. Nerone era un grande scommettitore, Caligola un appassionato di dadi, Augusto un giocatore di quello che era una sorta di precursore del backgammon, mentre Giulio Cesare, a detta di Plutarco, era un giocatore incallito.
28/05/2021
Inserisci un commento