Si fa un gran parlare in Rete dell’ultimo libro dello scrittore napoletano Erri De Luca, “A grandezza naturale”, edito da Feltrinelli.
Proprio nel primo racconto che dà il titolo al testo, De Luca s’interroga su uno dei suoi crucci vitali e letterari dell’ultima produzione: il rapporto padre-figlio. Quel gradino di responsabilità che, non avendo avuto lui figli, non ha mai oltrepassato rimanendo lui figlio e quindi contemporaneo tra le generazioni.
Il riferimento al rapporto Abramo-Isacco ed il parallelo metaletterario anch’esso con la vicenda intra artistica tra Chagall ed il padre sono in questo caso idiomatiche del rapporto con il suo di padre: quel dottore De Luca che rifiutò il finanziamento ex legge post-terremoto. Ed in questa partizione ritornano gli echi di “Non ora, non qui”: il suo esordio narrativo che riteniamo libro fondamentale per qualsiasi studioso di letteratura del secolo scorso, insieme forse con “L’abusivo” di Antonio Franchini.
Ma forse il giudizio di De Luca che hanno molti critici che non l’hanno letto nasce da una loro aporia. Non sanno infatti come classificare come forma ciò che De Luca scrive.
Lo scrittore partenopeo è primariamente un poeta che ha trovato, imbevendosi nelle fonti ebraiche e scritturistiche una sua forma propria di romanzo fatto di ricordi, citazioni e azioni. Anche quando produce un libro di racconti essi si strutturano in un romanzo vero e proprio. Una nuova declinazione romanzesca saporita e apodittica che nella nostra tradizione mancava.
03/05/2021
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