Venerdì scorso, l’Italia ha visto le sue piazze riempirsi di migliaia di studenti per il “No Meloni Day”, una manifestazione che ha attraversato oltre 30 città del paese. Con slogan, cartelli, manichini incendiati e foto dei ministri imbrattate di rosso, i giovani hanno espresso il loro dissenso verso il governo guidato da Giorgia Meloni e, in particolare, verso le politiche del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Tuttavia, la giornata di protesta si è trasformata in un teatro di tensioni, soprattutto a Torino, dove scontri con le forze dell’ordine hanno portato al ferimento di 20 agenti.
Le ragioni della protesta
Dietro il grido “No Meloni” si intrecciano diverse rivendicazioni. Gli studenti hanno criticato la gestione della scuola, chiedendo più fondi per l’istruzione e meno spese militari, ma hanno anche denunciato il supporto italiano a Israele nel conflitto israelo-palestinese. A Roma, un corteo ha accusato il governo di avere “mani sporche di sangue” per il genocidio del popolo palestinese, mentre a Napoli si chiedeva di destinare i soldi “alla scuola, non alla guerra”.
Le proteste, però, sono andate oltre la critica politica: sono state espressioni di un disagio generazionale, che sente la mancanza di opportunità e un futuro incerto, aggravato da un sistema scolastico percepito come sempre più selettivo e meno inclusivo.
Torino: il punto più critico
La situazione è degenerata a Torino, dove alcune centinaia di manifestanti, tra cui gruppi legati ai centri sociali, hanno dato fuoco a un fantoccio raffigurante Valditara e imbrattato monumenti e bus. In piazza San Carlo, un ordigno rudimentale contenente gas urticante ha causato l’intossicazione di 20 poliziotti, mentre nella Mole Antonelliana è stata sostituita la bandiera italiana con quella palestinese. Scene che hanno ricordato momenti di tensione degli anni ‘70.
Le reazioni del governo e della politica
Il governo ha condannato unanimemente le violenze. La premier Meloni ha definito “inaccettabili” gli episodi e ha invitato “certa politica” a smettere di giustificare o proteggere chi agisce con violenza. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha criticato duramente l’attacco alle istituzioni, mentre Matteo Salvini ha bollato i manifestanti violenti come *“zecche rosse”*.
Anche il ministro Valditara ha espresso indignazione, sottolineando che non si può dialogare con chi inneggia alla violenza. Tuttavia, la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha cercato di bilanciare la sua condanna alle violenze con una critica al governo, accusandolo di strumentalizzare quanto accaduto per fini politici.
Tra protesta e violenza
La giornata di venerdì lascia un Paese diviso. Da un lato, le rivendicazioni degli studenti sono una chiamata all’attenzione su temi fondamentali, come l’istruzione, la giustizia sociale e la politica internazionale. Dall’altro, le immagini di scontri e violenze rischiano di oscurare il messaggio principale, alimentando una retorica di scontro che sembra allontanare le parti anziché avvicinarle.
Ora, il vero interrogativo è: come trasformare la rabbia e la frustrazione di una generazione in un dialogo costruttivo? Forse, la risposta risiede nella capacità di ascolto e nella volontà di costruire un ponte tra chi governa e chi protesta.
17/11/2024
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