Un conflitto lungo 75 anni (e mai davvero fermo)
Il conflitto israelo-palestinese non è una notizia nuova: va avanti dal 1948, quando nacque lo Stato di Israele e centinaia di migliaia di palestinesi furono costretti a lasciare le loro terre. Da allora, ci sono state guerre, rivolte (intifade), trattative fallite, e periodi di fragile tregua. La questione centrale è rimasta la stessa: i palestinesi rivendicano uno Stato indipendente nei territori occupati da Israele – la Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza – ma ogni tentativo di accordo si è arenato.
Cosa sta succedendo nel 2025?
Dall’ottobre 2023, la situazione è degenerata dopo un attacco di Hamas a Israele e la risposta militare di Israele su Gaza. Quello che inizialmente sembrava un nuovo capitolo della solita “crisi” si è trasformato in un conflitto ad alta intensità. Secondo le ultime stime delle Nazioni Unite, oltre 40.000 palestinesi e migliaia di israeliani hanno perso la vita in meno di due anni. Gaza è allo stremo, mentre le tensioni si estendono anche in Cisgiordania, Libano e Mar Rosso.
Nel 2025, il conflitto è diventato globale: proteste pro-Palestina e pro-Israele si sono diffuse nelle università di mezzo mondo (dagli USA all’Europa), e la polarizzazione corre anche sui social, dove ogni immagine diventa virale e ogni notizia viene commentata, rilanciata o contestata.
Perché se ne parla ovunque (anche tra i giovani)?
Questo conflitto è diventato un simbolo di molte altre cose: libertà, occupazione, colonialismo, autodeterminazione, terrorismo, autodifesa, e diritti umani. I giovani si dividono: c’è chi sostiene Israele in nome della lotta al terrorismo, e chi difende la causa palestinese come simbolo di resistenza all’oppressione.
Sui social, hashtag come #FreePalestine e #StandWithIsrael sono onnipresenti. Ma non si tratta solo di post: i giovani stanno organizzando sit-in, campagne di boicottaggio e persino pressioni sulle aziende e sulle università per prendere posizione. La Generazione Z non si accontenta di restare a guardare: vuole capire, schierarsi, fare qualcosa.
Perché è difficile “stare da una parte sola”?
Il conflitto è complicato e le sofferenze sono reali da entrambi i lati. I civili pagano il prezzo più alto: a Gaza manca cibo, acqua e cure mediche; in Israele la popolazione vive sotto la minaccia continua dei razzi e dei conflitti armati. E poi ci sono le domande scomode: Israele ha diritto di difendersi? I palestinesi hanno diritto a uno Stato? Hamas rappresenta davvero i palestinesi? La comunità internazionale sta facendo abbastanza
Cosa si può fare (davvero)?
Non tutti possono cambiare il mondo, ma tutti possono informarsi meglio. Per molti giovani, la sfida oggi è evitare le semplificazioni: uscire dalla “bolla” dei social, cercare fonti diverse, capire la storia prima di schierarsi. Parlare di pace, diritti e giustizia non significa “tifare” per una parte, ma capire che la vita umana – tutta – va difesa.
E poi c’è l’attivismo consapevole: petizioni, proteste pacifiche, progetti di cooperazione, sostegno umanitario. Anche scegliere dove e come informarsi, o che contenuti condividere, è già una forma di scelta.
Conclusione: Perché questa storia parla anche di noi
Il conflitto israelo-palestinese non è lontano. Influenza la politica globale, il costo della vita (basti pensare all’energia e ai mercati), le migrazioni, e le nostre conversazioni quotidiane. Parlarne significa esercitare pensiero critico, empatia e responsabilità.
Per i giovani del 2025, che vivono in un mondo connesso, non basta ignorare le notizie difficili. Serve affrontarle, anche se fanno discutere. La pace non si costruisce in un giorno, ma ogni generazione può fare la sua parte. Anche la nostra.
25/07/2025
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